La sera si prospettava triste e solitaria, come le ultime d'altra parte. Camminava a passo spedito nel buio delle strade con le mani in tasca. L'aria era ancora troppo pungente per poter definire finito quell'interminabile inverno. Gli occhi si muovevano rapidi in cerca di eventuali pericoli. Senza un reale motivo si sentiva in pericolo. Braccato talvolta. Ma nonostante questa sua sensazione non riusciva a stare a casa, non poteva stare a casa. Il ricordo di quella sera era ancora vivo. L'avventurarsi per quelle vie desolate era oramai divenuta una necessità. Dal momento in cui tramontava il sole, a quello in cui la polvere di stelle firmava la volta celeste, il suo tormento iniziava. E trovava pace solo quando si tuffava in quell'intreccio confuso di strade. Quando i suoi pensieri finivano di mulinare nella sua testa. Solo il vento, che fischiava stridenti melodie, gli faceva compagnia. Senza sapere come, senza sapere dove, ogni sera ripercorreva il medesimo percorso. Oramai riconosceva ogni singolo particolare anche ad occhi chiusi. A destra, il cigolio costante di un'insegna, annunciava la taverna "Alla Rocca delle Rose", una ventina di passi oltre, a sinistra, a metà via si percepiva il tenue sfrigolio delle fiaccole, sempre accese, ad illuminare la bottega "La Polvere Magica". E ancora, poteva scorgere nitidamente l'acqua della fonte che inesorabile scendeva e travasando si faceva largo barcollando lungo la strada verso il mare. Qui erano gli odori che lo guidavano. Carpentieri, falegnami, conciatori avevano costellato le piccole viuzze laterali, e l'aria era impressa delle loro essenze. Lungo la direttiva principale, quella che stava percorrendo a grandi passi, le taverne, una dopo l'altra, si susseguivano in una corsa verso il nuovo porto. Alla fine della via, trafelato dall'ansia e da quell'attesa febbrile, venne schiaffeggiato da un leggero ma persistente Libeccio. La sua folle corsa continuò sin verso il molo. La sua mente era cullata dal ritmico sciabordio del mare e dal tintinnare delle sartie e degli ormeggi delle navi che sonnecchiavano placide. Giunto alla fine del molo, si sedette, gambe penzoloni nel vuoto. Sotto di lui le acque scure. Il vento a dipanare il filo dei suoi pensieri. Finalmente un sorriso irruppe su quel viso fino ad ora tirato. Il ricordo delle parole di quella ragazza lo avvolgevano ancora una volta. Solo lì, solo nel cuore della notte, il potere di quelle semplici parole si sprigionava. -Sei il mio pensiero preferito- il più splendente e tenero- quello che mi accarezza dolcemente il cuore-. Queste parole, cariche di un accento esotico, disse la ragazza in un sospiro di Libeccio, prima di scomparire dalla sua vita. Era successo tutto velocemente, troppo velocemente. Il loro incontro era stato casuale, lì sul molo. E ogni sera, per una settimana intera si erano incontrati ed amati. Sempre nello stesso luogo, sempre nel cuore della notte. L'intensità dei loro sguardi, quel tocco fatato sulle sue guance, i dolci baci che si erano scambiati, era stato il suo mondo. Tutto era così magnifico da sembrargli un sogno, tanto che a volte lui stesso dubitava dell'esistenza di quella donna. Ma subito il sapore delle sue labbra e il tocco gentile di quelle mani bruciavano sulla sua pelle. Ma dopo sette giorni, così come era arrivata, scomparve. Nessuno aveva notizie della ragazza, come non fosse mai esistita. Erano trascorsi pochi giorni, una vita. E a lui era rimasto il ricordo di quelle parole- un sospiro di Libeccio.